Dopo le banlieues parigine, con i loro scontri di alcuni anni fa, ora tocca alla Svezia. Sono diversi mesi che a Malmö si vive una situazione di emergenza urbana e sociale, un nuovo capitolo in Europa del fenomeno delle periferie urbane in fiamme, che fa emergere non solo una questione contingente di violenza ma un vero e proprio problema di integrazione. In Svezia la cosa sorprende ancora di più, anche se il ghetto ribelle è quello di Rosengard, nella periferia orientale di Malmö, una delle periferie urbane più famose del paese (divenuto ampiamente conosciuto anche perchè luogo d’infanzia del calciatore Ibrahimovic), luogo che ha cambiato radicalmente composizione sociale in anni di forte immigrazione.
Oggi un articolo su Corriere.it riassume i fatti degli ultimi mesi e la situazione di emrgenza che si è creata, e mette in luce la crisi non solo di una città e di una sua parte, ma di un modello di integrazione come quello svedese che sembrava essere tra i migliori in Europa. Il giornalista Paolo Salom scrive nell’articolo:
“Periferia orientale di Malmö. Palazzi gettati come mattoncini a formare isole tanto ordinate quanto slegate l’una dall’altra, cemento a vista: uno dei tanti progetti che, sulla carta, negli anni Sessanta e Settanta, dovevano risolvere una volta per tutte il «problema casa» della classe operaia più viziata d’Europa. Oggi i lavoratori svedesi sono una minoranza minacciata più dall’incedere dell’immigrazione islamica che dalla crisi economica. «Non c’è più posto per noi», spiega con un sorriso a mezza bocca Anders Püschel, al momento «disoccupato». Non c’è più posto per nessuno, a giudicare dagli ultimi eventi.”
(…) “Malmö, terza città della Svezia, capoluogo della prospera Scania, porto sull’Öresund con un passato di traffici che non torneranno più, ha 270 mila abitanti, centomila dei quali stranieri, per lo più concentrati a Rosengard e dintorni. Come dire, un residente su tre è musulmano. Molti vengono dai Balcani, dall’Africa, dall’Asia centrale. «Ci sono cento e più nazionalità nel quartiere — spiega Stefan Alfelt, corrispondente locale di Aftonbladet, uno dei principali quotidiani nazionali —. Pochi di loro hanno un’occupazione. In alcune zone i senza lavoro sono addirittura l’86% degli adulti. I giovani crescono osservando i genitori che vivono di carità pubblica. Sanno di essere senza speranza e si comportano di conseguenza: fanno la guerra». Curiosamente, non è un conflitto «Rosengard contro gli altri». «Gli scontri raramente superano i confini del quartiere — dice ancora Alfelt —. È una guerra civile locale: tutti contro tutti»”
Da diversi mesi Rosengard è diventata campo di battaglia, con continui roghi, un gioco distruttivo nel quale i bersagli principali sono i vigili del fuoco e gli agenti di polizia. La situazione è sfuggita di mano e con grande difficoltà si cerca di arginare almeno la violenza. Alcuni articoli in inglese si trovano sul giornale svedese online The Local, che ci aggiorna in maniera puntuale su quanto sta accadendo, fino alla richiesta di coprifuoco proprio di questi giorni. Come detto sopra, il grande interrogativo ora riguarda il modello di integrazione, che viene affrontato sempre in un articolo di The Local, “Rosengård: Integration in the eye of the storm“. Per capire il grado di segregazione socio-spaziale basterebbe la domanda di un giovane immigrato riportata nell’articolo:“How does society expect us to integrate when we are so segregated?” asks Sami Touman, a 21-year-old mechanical engineer student whose family comes from Gaza.“
L’articolo del Corriere, riportando la “preoccupante” tranquillità del sindaco, chiude con una domanda che vale per tutte le città e per la nostra società in generale: “Il modello sociale svedese? «Non spetta a me interpretare la politica del governo», ci ha detto il sindaco Ilmar Reepalu, socialdemocratico, facendo intendere che lui, la sua città, vuole continuare ad amministrarla come se il welfare scandinavo non fosse superato dalla realtà. Certo «dobbiamo iniziare a progettare qualcosa di diverso. Ne va della tranquillità di tutti». Solo una questione di ordine pubblico, allora?“.
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