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Posts Tagged ‘New York Times’

Innovare non significa solo inventarsi cose nuove ma anche immaginare un uso nuovo di cose già esistenti o un utilizzo diverso di spazi e contentori, e quindi non solo costruire ma anche recuperare. In questo senso da Detroit arriva una proposta innovativa e per certi versi provocatoria, e cioè “ridurre” la città.

Cosa fare quando una città perde popolazione e l’organizzazione dei servizi e dello spazio, compresi i costi, si dimostra sovradimensionata? Mi capita spesso di pensare ad esempio alla mia città, Trieste, ormai da anni in calo demografico ma dove quasi mai nessuno riflette su un concetto di sviluppo che possa conciliare progetti innovativi e revisione degli spazi in modo adeguato alla dimensione demografica. Non si tratta solo di immaginare funzioni nuove, anche se ciò è sempre importante, ma anche strategie di riorganizzazione di spazi e servizi e di revisione funzionale di parti di città.

Detroit’s plan to shrink the city, così si intitola un articolo sul sito SmartPlanet che ci spiega la sfida di fronte cui si trova la città americana: “It’s an unusual role for urban planners: shrinking a city. But it just might help revitalize Detroit“. La città contava una popolazione molto superiore al milione e mezzo che ora nell’ultimo censimento si è ridotta a poco più di 700mila abitanti, con un salto indietro di quasi cento anni. La questione ovviamente è basata anche sulla considerazione della scarsezza delle risorse, che verranno quindi rese più efficenti non solo con una riorganizzazione dei servizi ma anche con una concentrazione di interventi in alcune specifiche aree urbane.

Il problema vero è come bilanciare questa riorganizzazione delle risorse garantendo una qualità di vita dignitosa per tutti, anche per quelle aree urbane non più considerate destinarie di risorse strategiche. The Odd Challenge for Detroits Planners, così la chiama il New York Times in un interessantissimo articolo di Monica Davey: “How to reconfigure roads, bus lines, police districts? How to encourage people — there is no power of eminent domain to force them — to move out of the worst neighborhoods and into better ones? Later this month, a team that includes Ms. Winters is expected to present a proposed — and certain to be highly controversial — map to guide investment in each of the city’s neighborhoods. A final plan for a remade city is expected by year’s end“.

“L’idea più sbagliata è che noi non dobbiamo cambiare”, così ha affermato il sindaco Dave Bing, e il coraggio di cambiare senza nascondersi la realtà del ridimensionamento è forse una scelta vincente più di mille idee di progetti enormi e mai realizzati.

(qui sopra una foto di aree verdi di Detroit ricavate da quartieri dove gli edifici sono stati demoliti, Dai grattacieli alla campagna, abbandonare Detroit da magazine.quotidiano.net)

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Sono passati quattro anni dall’uragano Katrina e New Orleans si guarda allo specchio cercando di capire a che punto è la ricostruzione. Questo anniversario ha trovato molta copertura nei media statunitensi e, per chi volesse comprendere la situazione della città sono disponibili report, dati e molti articoli. Io ve ne segnalo qui sotto alcuni.

New Orleans-KATRINA Chicago TribuneLa cosa che trovo davvero positiva degli americani è che la ricostruzione è monitorata seriamente, e sono disponibili aggiornamenti periodici con report e dati. Si possono seguire i trend anno per anno e capire quindi, ad esempio, anche le dinamiche che intrecciano le conseguenze del disastro dell’uragano Katrina, la ricostruzione e la crisi attuale.

Sicuramente sui media c’è molta attesa rispetto a quanto farà Obama nel suo mandato, perché tutti ricorderanno che la tragedia di New Orleans fu uno dei punti più bassi della popolarità di Bush (forse il peggiore momento, al di là delle questioni belliche). Altrettanto vero è il fatto che l’America si trovò quasi sorpresa a scoprire i poveri in casa sua, e a scoprire  una città divisa, e che anche nelle tragedie esiste un’America ricca, concentrata in una “città alta”, che in fondo se l’è cavata e un’America povera rilegata in una “città bassa”, inondata e spazzata via.

A quattro anni di distanza la città presenta chiaro-scuri, con il paradosso che è una città che ha sofferto poco della crisi perché gran parte delle attività sono di costruzione immobiliare, edilizia e lavori pubblici. Le percentuali di zone e case recuperate e abitate sono ovviamente salite con un rallentamento della crescita però nell’ultimo periodo.

new orleans new york timesInteressanti sono gli articoli e le tabelle pubblicati, tra i quali, per chi avesse piacere o interesse ad approfondire, segnalo quello Chicago Tribune, con una mappa del Recovery in New Orleans molto chiara. Altre tabelle interessanti sono pubblicate dal The New York Times, con un articolo che si apre con una domanda che fa capire lo spirito con cui guarda al nuovo Presidente: “This year, the Gulf Coast’s recovery from Hurricane Katrina has become President Obama’s responsibility. How bad a situation has he inherited?”

Un report periodico molto preciso e aggiornato sui dati è The New Orleans Index, che viene pubblicato grazie al lavoro del Metropolitan Policy Program della Brookings Institution e del Greater New Orleans Community data Center. L’introduzione al numero del quarto anniversario, scaricabile dai siti dei due istituti, è già programmatica:  “Though New Orleans has been somewhat shielded from the recession due to substantial rebuilding activity, four years after Katrina the region still faces major challenges due to blight, unaffordable housing, and vulnerable flood protection. New federal leadership must commit and sustain its partnership with state and local leaders by delivering on key milestones in innovation, infrastructure, human capital, and sustainable communities to help greater New Orleans move past “disaster recovery” and boldly build a more prosperous future.”

Ora la sfida per New Orleans sembra essere quella di ricostruire un’identità oltre che riparare il disastro. Per concludere voglio riportare proprio le parole di AMY LIU, deputy director of the Metropolitan Policy Program, con cui si conclude l’articolo citato del New York Times: “President Obama’s biggest challenge is to work effectively with Louisiana officials and the next mayor of New Orleans to generate enough progress before next August to show that the city is truly reinventing itself, rather than simply returning to a suboptimal normal.”

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Dire che l’avevamo quasi anticipato con il post di pochi giorni fa è troppo, ma sicuramente la notizia di oggi non ci coglie di sorpresa. E il titolo di questo post ribalta il titolo di quel post, indicando volutamente il fatto che, quando la crisi colpisce le aziende più rappresentative di una città, colpisce le città stesse e i loro simboli di sviluppo.

nyt-grattacielo1E così dopo la crisi dell’auto a Detroit, di cui magari scriverò a breve, in questi giorni fallisce l’editoria, tanto che, come riportano i giornali italiani, il New York Times è stato costretto ad ipotecare il nuovissimo grattacielo di 52 piani da poco realizzato dal grande architetto Renzo Piano sulla Ottava Avenue.

Il grattacielo nuova sede del New York Times ha avuto grande risalto perchè è stato il primo a sfodare la “architettura della sicurezza” frutto della paura dopo l’11 settembre 2001. Un grattacielo luminoso, di più di 300 metri, con un materiale che filtra la luce del sole permettendo una distribuzione omogenea della luce, dando l’idea di trasparenza e leggerezza.

Un grattacielo simbolo insomma, per la qualità dell’edificio ma anche per il messaggio di speranza e di futuro per New York.

Ma se, come ha detto Piano all’inaugurazione, questo grattacielo “è lo specchio di New York“, oggi possiamo dire che è lo specchio della crisi, che è anche delle città e delle loro economie.

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Un modo diverso di ricordare l’11 settembre. Lo fa il New York Times, in un articolo riportato nella rassegna stampa estera di Radio 3 Rai (in onda alle 7 del mattino, che vale la pena ascoltare, come Prima Pagina sui giornali italiani, alle 7.15, il tutto ascoltabile o consultabile online il giorno dopo).

E’ interessante notare la differenza di come oggi, a sette anni dall’attacco alle Torri Gemelle, venga ricordato quell’evento. Molti giornali americani ovviamente continuano a dare grande risalto al ricordo della tragedia, ma il New York Times, forse in un modo che qualcuno potrebbe giudicare un po’ irrispetoso verso le vittime, decide di dedicare un articolo alla New York persa dei newyorkesi.

La città in primo piano quindi, e il legame delle persone con la città e con il suo paesaggio.

A 9/11 Loss Some Can See From the Window, si intitola l’articolo, che pone al centro del senso della mancanza, della perdita dopo l’11 settembre, anche la Vista della città che per molti cittadini era una parte di loro: “… was the View, that most coveted of New York City apartment amenities, shattered forever”. Allora molti hanno rinunciato a lungo a guardare fuori dalla finestra. (altro…)

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