Le città italiane alla ricerca della bellezza perduta? Sembra proprio di sì, a giudicare dagli articoli che sempre più spesso parlano di città che perdono di qualità, di attrattività, di sostenibilità e di benessere. Il problema è che tale giudizio non è rivolto puramente all’esterno, rispetto al turismo o alle offerte per chi viene da fuori a studiare o a lavorare nel nostro paese, ma purtroppo riguarda gli abitanti, i residenti, quelli che quotidianamente vivono questo vero e proprio declino.
Negli ultimi giorni ho trovato molta similitudine sullo stato delle città italiane tra un articolo uscito ieri su Corriere.it su Milano e un articolo della rivista Monocle che accompagnava la loro annuale classifica sulle città più vivibili.
Il Corriere, nell’articolo-denuncia di Corrado Stajano, titolava “Milano senza sogni, città amara”, con un sottotitolo molto duro: “Indifferenza, razzismo, traffico, inquinamento: così la metropoli perde l’anima”. Una città dove regna l’incuria, dove si è perso lo spirito solidale, dove sono spariti i luoghi di aggregazione e dove il senso civile è andato via via spegnendosi. Una denuncia, in questo articolo, dove si guarda con amarezza all’ottimismo di maniera, nel quale l’Expo 2015 sembra quasi un miraggio come soluzione a tutti i mali. Milano deve ritrovare al suo interno la strada persa, nelle sue strade, nelle sue persone, e nelle piccole cose che fanno di una città un luogo bello dove stare e vivere. “Per raccontar Milano è bene partire dal basso, dai marciapiedi, più che dalle alte vette, il primato sociale e civile dato una volta per scontato o la capitale morale andata in frantumi come un vaso di terraglia.” Milano non è più vivibile, sembra dirci l’autore dell’articolo.
E proprio di città vivibili parla Monocle nel suo numero di luglio, stilando l’annuale classifica “The World’s Top 25 Most Liveable Cities”, che testa le città più importanti del mondo per capire sia quali si stanno muovendo verso una maggiore sostenibilità e qualità della vita, sia quali siano le generali dinamiche di trasformazione delle città. Lo scorso anno al primo posto figurava Copenhagen, quest’anno troviamo Zurigo. Al di là dei contenuti della classifica, di cui magari parlerò in un altro post, quello che qui è interessante notare è che per il terzo anno consecutivo nessuna città italiana entra fra le prime 25. E sulla rivista troviamo un commento proprio su questa assenza delle nostre città, dal titolo “Nice reastaurants, but…“. Anche qui il giudizio è molto crudo, fina dalla prefazione:
“For a third year running, Italian cities failed to make our list. Though attractive spots for 48 hours of sightseeing or shopping, more needs to be done for their residents. Take public transport. Poorly funded and chronically late, the number of commuters on buses and trams actually fell in 2008. With most people behind the wheel, city centres are gridlocked and pavements used as makeshift car parks“.
L’ottmismo di maniera dovrebbe quindi lasciare spazio alla consapevolezza, al realismo e al buon senso, perchè c’è molto da fare per gli abitanti delle città italiane, se, come dice la’rticolo sopra citato, stiamo diventando un paese buono solo per 48 di turismo e shopping.