Ricordare cosa e come? E soprattutto, ricordare per chi? quali percorsi di ricomposizione e di riconciliazione ci sono e quanto riescono ad essere incisivi? è possibile lavorare sulla verità e la giustizia in modo oggettivo senza essere considerati nemici o, peggio, traditori?
Queste sono le domande di fondo che hanno accompagnato il mio viaggio (organizzato da Mauro Cereghini della Fondazione Langer, e fatto con lui e insieme a Carla Giacomozzi dell’archivio storico della città di Bolzano e Sonja Cimadom volontaria dell’Operazione Colomba) in alcuni dei luoghi della memoria dei Balcani, nelle città, nei siti, nei memoriali, anche attraverso le parole delle persone e le attività delle associazioni che si occupano di questi temi.
Jasenovac e Donja Gradina, Osijek, Vukovar, Sarajevo, Srebrenica e Tuzla… Abbiamo visitato i luoghi delle maggiori tragedie del ‘900 cercando di capire che significato hanno oggi quei luoghi e che cosa si sta facendo sul tema della memoria. Sono partito con delle domande e sono tornato con molte più domande alle quali provare a dare risposta, sebbene sempre parziale.
Memoria e riconciliazione o memoria e divisione? Questa la domanda principale con la quale sono tornato, continuando a pormela a casa mia, a Trieste, dove il ricordo dei fatti del ‘900 continua a essere una frattura difficile da sanare. La “battaglia della memoria”, potremmo chiamarla così, la tendenza del conflitto a lasciare anche nel ricordo contrasti, contestazioni, riconoscimento e negazione.
Il viaggio ha posto almeno tre questioni fondamentali:
- Da un punto di vista di dettaglio di racconto e di contenuti di immagini (violenza, deportazioni, esecuzioni di massa, conflitto armato), esiste un livello giusto e un modo corretto di rappresentazione della memoria di un luogo e dei fatti accaduti?
- Anche in un percorso di reciproco riconoscimento delle vittime, il genocidio sta ad un livello superiore e finisce con l’identificare tout court un popolo come carnefice e uno come vittima?
- Quale è il possibile intervento in un contesto, come quello dei Balcani, nei quali una delle implicazioni della battaglia delle memorie è che non si gioca solo a scala locale ma anche su una scala geopolitica regionale?
Per i temi di questo blog poi diventa fondamentale capire, dall’analisi delle attività che le persone e le associazioni incontrate promuovono nel campo della pace, riconciliazione, memoria e verità, quale sia il rapporto che in questo ambito c’è tra luoghi fisici (macerie, siti, memoriali) e memoria, tra persone, luoghi e eredità del trauma. Il rapporto è stretto, ma come sempre si intrecciano in modo significativo elementi materiali e immateriali: così i luoghi diventano territorio di identità anche con le attività delle associazioni, anche i programmi educativi nelle scuole (spesso divise) e nelle istituzioni (musei, memoriali, etc), anche con le narrazioni personali, che hanno un impatto fondamentale nella scomposizione e ricomposizione delle memorie individuali e collettive.
Tra le cose che abbiamo visto:
Complesso di Jasenovac – Donja Gradina, diviso dalla Sava e ora in due stati diversi, con due modi diversi di ricordare e con una ricostruzione minima dei luoghi.
Vukovar, con il suo memoriale, le croci, le bandiere, ma anche con le sue rovine che ancora caratterizzano il centro storico.
Sarajevo, di cui ho già detto nel post precedente, con i suoi monumenti, restauri, rinnovamento e cambiamento.
Srebrenica, luogo simbolo, che è un “concentrato”, o come ha detto Mauro è un “teatro”, memoria e rappresentazione di tutto ciò che sono state le guerre balcaniche ma anche di ciò che ne è seguito, tra ricordo, divisione, ricostruzione, cooperazione, presenza internazionale…
Per ora qui mi limito a questi spunti, e ad alcune immagini, perché il tempo di elaborazione delle cose viste deve essere più lungo (e lento forse..), anche solo per dare coerenza ai tanti appunti con i quali sono tornato. Proverò a riprendere in seguito qualche riflessione specifica.
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