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Posts Tagged ‘Muro di Berlino’

La notte tra il 12 e 13 agosto 1961 veniva eretto il Muro di Berlino, e quindi oggi ricorre l’anniversario dei 50 anni della sua costruzione. Ci sono poche parole da aggiungere a quante ne siano state dette, soprattutto in questi giorni così come due anni fa in occasione delle celebrazioni dei 20 anni dalla sua caduta. Commentare è difficile, anche perchè l’epoca dei muri non è finita, come spesso ripeto attraverso questo blog presentando i nuovi muri e le divisioni che sempre più caratterizzano l’epoca attuale.

Il ricordo e la memoria di un’epoca, più di mille commenti, possono allora aiutare a manetenere vivo il significato tragico di quel Muro, non solo nei suoi aspetti geopolitici, non sono nella successione delle morti che hanno segnato la sua esistenza, ma ancora di più e soprattutto nelle storie “semplici” di un’intera generazione la cui vita quotidiana è stata stravolta. Il dolore è il tratto comune dei racconti, a volte accompagnato da rabbia e voglia di ribellione a volte da smarrimento e incredulità.

Allora oggi voglio solo segnalare un paio di articoli, di racconti, senza aggiungere altro alla memoria che ci deve aiutare  a mantenere viva l’attenzione sulle tragedie hanno segnato la storia del Muro di Berlino, ma che non sono finite con la sua caduta. Un articolo del sito del TG3, “Quando c’era il Muro di Berlino” ci parla di un paesino che venne in pratica tagliato fuori dal mondo. Non mancano poi le sezioni fotografiche, una in italiano molto completa la troviamo sul sito di Panorama, e sul Time nella sezione Light Box c’è un interessantissimo articolo sulle foto di Thomas Hoepker sulla vita quotidiana a est del Muro. Infine in una sezione speciale del Guardian sul Muro di Berlino, tra i vari articoli ce n’è uno intenso sulle storie di famiglie divise, intitolato”Berlin Wall 50 years on: families divided, loved ones lost“. Molto interessante in questo articolo è anche la conclusione, che ci presenta i rischi di una visione turistica della storia del Muro, che viene quasi spettacolarizzata o “Disneyzzata”: “Young people cannot comprehend that just 22 years ago there was a wall dividing this city. Anything that helps them to understand how and why things were as they were has got to be a good thing.”

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Mentre si stanno per ricordare i 50 anni dalla costruzione del Muro di Berlino, ecco un nuovo muro, anzi un fossato come un muro ai confini dell’Europa. Un articolo del Corriere riporta la notizia della nuova opera costruita tra Grecia e Turchia, lungo il fiume Evros, per impedire il passaggio di immigrati clandestini. Non si tratta di un piccolo intervento, ma di un’opera enorme: un fossato appunto lungo 120 Km, largo 30 metri e profondo 7.

Simbolicamente questa nuova barriera difensiva riporta la mente proprio ai castelli medievali, alle fortezze, isolate dal loro intorno grazie a muri e fossati. Non si tratta di un’azione a sorpresa, anzi, se ne parlava da molto tempo e ormai dall’inizio del 2011 era chiara l’intenzione della Grecia di procedere con la costruzione di quest’opera, come riportato ad esempio a gennaio da un articolo sul sito Globalsecurity (anche l’immagina qui affianco è presa dallo stesso articolo).

Come spesso accade l’Unione Europea è impotente su questi temi, al di là di esprimere contrarietà in linea di principio. Sempre a gennaio un articolo del Guardian ci diceva che la notizia imbarazzava Bruxelles, e la Commissione Europea tramite il portavoce per la sicurezza si era affrettata a dire che “Walls or fences are short-term measures that are not meant to deal with the question of illegal immigration in a structural way“. La realtà purtroppo dimostra il contrario e a 50 anni dal Muro di Berlino stiamo sempre più costruendo, tra muri e fossati, un’Europa fortezza.

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Si è parlato molto nel periodo dell’anniversario dei vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino dell’effetto nostalgia che un certo mondo passato suscita nell’animo di qualcuno, anche quando quel mondo certamente non può essere definito tra le cose positive della storia. Colpa della crisi, delle ideologie che sono svanite, della mancanza di senso di appartenza di un mondo liquido, dell’insicurezza; fatto sta cheda un recente sondaggio pare che anche la caduta del Muro susciti qualche rimpianto.

Un sondaggio choc, così lo definisce il Corriere nel suo articolo di Taino Danilo di pochi giorni fa, che ci dice che un tedesco su quattro rimpiange il Muro: “… una nazione che dopo la riunificazione del 1990 è convinta che le cose andassero meglio prima. (…) È stato realizzato dalla Emnid – 1001 intervistati – in occasione della trasmissione in tv, ieri sera, di un film – Die Grenze, Il confine – che sta creando polemiche (…). Primo risultato, non ancora del tutto sorprendente: il 23% dei tedeschi occidentali e il 24% di quelli orientali vorrebbero che il muro tra le due Germanie tornasse. Si stava meglio prima, più ricchezza a Ovest, meno competizione sociale a Est. (…) Secondo risultato, che inizia a fare agitare sulla sedia: i cittadini che considerano la libertà un obiettivo politico importante sono il 42% del totale nella ex Germania ovest e il 28% nei Länder che formavano la Ddr. Saranno stati i costi della riunificazione, la crisi finanziaria, le riforme al Welfare state, fatto sta che la libertà oggi sembra essere per i tedeschi un valore o scontato o non troppo importante.  È il quarto risultato, quello che fa cadere dalla sedia: il 72% dei tedeschi occidentali e l’ 80% di quelli orientali dicono che possono immaginare di vivere in uno Stato socialista che garantisca occupazione, sicurezza, solidarietà“.

Anche il giornale tedesco Bild usa il termine “scioccante” per definire i risultati del sondaggio. Shocking Survey Results dice nel suo articolo  in inglese online dal titolo One in four Germans want the Berlin Wall back!: “When asked about the Berlin Wall, around 16 per cent said that “nothing better could possibly happen”.

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Vecchi e nuovi muri

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Nella giornata dei grandi festeggiammenti per la ricorrenza dei vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino, riporto un mio articolo uscito venerdì scorso sul settimanale Vita Nuova di Trieste . Il titolo apparso sul giornale era “Quando i ponti diventano muri”, articolo centrale di un dossier sui Muri.

(la foto è presa dalla copertina del settimanale del 6.11.09 che contiene il dossier sui Muri, ed era accompagnata dalla scritta “Oltre ogni muro”)


Vecchi e nuovi muri

Scritto da Gian Matteo Apuzzo*

giovedì 05 novembre 2009

Circa un anno fa, Barack Obama, ancora da candidato alla Casa Bianca, aveva scelto Berlino per tenere il discorso principale durante il suo viaggio in Europa, e aveva usato uno slogan forte ed evocativo, “Mai più muri!”, attraverso il quale, toccando la memoria e il cuore dei berlinesi, davanti a migliaia di persone, aveva lanciato un accorato e convinto appello affinché si abbattessero i muri che dividono i popoli, «quelli fra Paesi ricchi e poveri, fra razze e tribù, fra cristiani, ebrei e musulmani». Eppure, nella stessa Europa dai confini mobili non tutti i confini cadono: alcuni si spostano, altri mutano, altri si trasformano, altri addirittura nascono. Non è fatta solo da success stories l’epoca dei muri che cadono, ma molti territori, interni all’Europa o a noi vicini, ci raccontano storie di nuovi confini, a volte materiali e rigidi, a volte immateriali ma forse ancora più difficili da superare.

Nei racconti, nelle narrazioni delle storie personali, a volte piccole, intime e familiari, emergono le contraddizioni della storia, i paradossi della nostra epoca. Fuori e dentro ai confini, cittadini o stranieri, inclusi o esclusi, a seconda del momento o del posto.

Il paradosso principale di questi venti anni è che i confini invece di diminuire sono aumentati e, come sottolineato anche dal grande sociologo americano Peter Marcuse, i conflitti più incandescenti riguardano proprio lo spazio, il suo utilizzo e la sua delimitazione. E proprio le città, alcune città in particolare, stanno diventando i campi di battaglia, anche simbolica, delle nuove divisioni e delle nuove appartenenze contrapposte.

L’elemento etnico ha assunto una funzione determinante nei conflitti e nelle lotte per lo spazio fisico, per l’appartenenza ad una città o ad un territorio, come ad esempio è avvenuto e sta avvenendo in zone di crisi anche vicine a noi, a partire dall’area balcanica. Se lo sguardo all’Europa parte dai Balcani, allora queste storie diventano numerose e significative, utili sia per capire la direzione verso la quale stiamo andando sia per valutare se davvero ancora resiste il mito dell’Europa “unita e senza confini”.

La frammentazione nazionale, la politica delle piccola patrie, la nazione etnicamente omogenea, stanno spingendo parti dell’Europa, occidentale e orientale, a deviare da un percorso che la caratterizzava. Guardando vicino a noi, la questione balcanica è divenuta simbolo di una società contemporanea che fa fatica a trovare soluzioni nella gestione della complessità, specchio del sogno a volte tradito del superamento del mondo dei blocchi della guerra fredda. In questo senso possiamo, senza correre il rischio di esagerare, parlare di una nuova epoca di muri.

Così, in Europa, può capitare che da cittadini si passa ad essere “cancellati”, come un gruppo numeroso di “jugoslavi” in Slovenia, o “alieni”, come molti russi nelle repubbliche baltiche. O assistiamo ad una grande crisi politico-istituzionale proprio intorno alla capitale d’Europa, Bruxelles, per i contrasti tra Valloni e Fiamminghi. O accettiamo che nell’Europa unita esista una città divisa come Nicosia, con il muro che divide la parte turca da quella greca sull’isola di Cipro.

La credenza in un’origine comune diventa perciò un rifugio, una sicurezza illusoria. In questo modo non esistono più gli “abitanti”, i “cittadini” di una regione particolare, ma esistono, da sempre e una volta per tutte i Serbi, i Bosniaci, i Croati, i Kosovari; come anche i Curdi, o i Palestinesi. Quello che conta è il sangue, l’origine comune.

E se lo sguardo passa ancora dai Balcani e va alla realtà attuale della Bosnia Erzegovina ci accorgiamo quanto tutto può essere confine, le chiese e i luoghi di culto, le bandiere, le memorie, i monumenti, i cartelli stradali, i percorsi degli autobus.

Anche i ponti possono dividere, ribaltando lo stesso significato simbolico tra ponti e muri, come avviene ad esempio a Mostar, ma anche a Mitrovica in Kosovo. I confini sono le scuole, divise fisicamente, per cui è divenuta diffusa la definizione di due scuole sotto lo stesso tetto (two schools under one roof), ma divise anche nei contenuti, dove la narrazione della storia prende forma diversa a seconda dell’appartenenza, che determina vincitori e vinti, vittime e carnefici.

I nuovi muri però non sono una prerogativa balcanica, ma fanno parte della società e del presente del mondo cosiddetto democratico e dell’Europa stessa. Il muro è tornato drammaticamente di moda come figura simbolica perché il concetto in sé indica separazione che equivale a sicurezza. Passato alla storia quello di Berlino, ad esempio Belfast è ancora tagliata da una ventina di cosiddette “Peace Line”, volute dagli stessi abitanti che così si sentono sicuri, dove però non mancano tensioni e atti violenti e dove è ancora difficile individuare percorsi condivisi di costruzione del dialogo.

Non dobbiamo però pensare che sia solo il tema dell’impatto delle migrazioni sulle nostre città che deve essere trattato, ma sono tutte le relazioni sociali ad essere in crisi, dove i conflitti sociali e relazionali si vivono fin dentro ai nostri condomini. Individualizzazione, paura e insicurezza fanno parte di uno stato di malessere del nostro modello di vita, che però trova nello straniero un generale capro espiatorio.

A questo proposito, qualche anno fa Zygmunt Bauman, citato quasi esclusivamente per le sue riflessioni sulla «società liquida», ha scritto un interessantissimo contributo sulla «fiducia e la paura nella città», soffermandosi sulle difficoltà del vivere quotidianamente con gli stranieri. Città intese come luoghi della paura, quindi. Città diventate una sorta di «discarica» dei problemi causati dalla globalizzazione, che costringono chi riveste responsabilità politiche e amministrative a individuare risposte sempre più locali in un mondo strutturato da processi sempre più globali. In definitiva, secondo Bauman, città come campi di battaglia e al contempo laboratori.

In questo quadro la reazione tipica appare quella della chiusura. Il sociologo spagnolo Manuel Castells sostiene che nelle città globali esiste in effetti una produzione di senso e di identità, ma che spesso questa significa chiusura. In una simile prospettiva possiamo allora concludere che davvero le città sono diventate dei laboratori, perché nella quotidianità lo scontro di civiltà teorizzato da Samuel Huntington si trasforma in un incontro tra vicini: gente reale, uomini e donne con le quali abbiamo a che fare involontariamente e che prima o poi incontriamo. Lo spirito delle città è alimentato da minuscole interazioni quotidiane ed è nei luoghi che l’esperienza umana si forma, si accumula e viene condivisa e il suo senso viene assimilato, elaborato e negoziato.

Ancora Bauman sostiene che la città induce contemporaneamente alla mixofilia e alla mixofobia. In questo senso gli stessi aspetti della vita urbana possono attrarre persone e respingerne altre, in un inarrestabile processo ambivalente. Dentro e fuori i confini. La varietà promette molte e differenti opportunità. Solo attraverso una “fusione di orizzonti”, secondo la locuzione usata da Hans Gadamer, si può ottenere la comprensione reciproca: orizzonti cognitivi, che vengono tracciati e allargati accumulando esperienze di vita.

È opportuno quindi riflettere su come non rendere gli spazi urbani una sorta di baluardo, di barriera difensiva. Non bisogna abbandonare lo sforzo di riflettere su come costruire una convivenza e una nuova fiducia civica, senza negare il conflitto esistente ma nel tentativo esplicito di abbattere i muri, fisici e immateriali, costruiti secondo una logica fondata sulla vigilanza e sulla distanza. Costruire una cittadinanza oltre i nuovi muri è la grande sfida contemporanea negli spazi della pluralità.

*studioso di città divise

https://metapolis.wordpress.com/

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Oggi permettetemi un piccolo commento sulle tracce uscite per la prova scritta di italiano dell’esame di Maturità, e in particolare su quella che richiama la caduta del Muro di Berlino.

Il testo della traccia della prova è il seguente:

Con legge n. 61 del 15 aprile 2005, il 9 novembre è stato dichiarato «Giorno della libertà», “quale ricorrenza
dell’abbattimento del muro di Berlino, evento simbolo per la liberazione di Paesi oppressi e auspicio di
democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo”.
A vent’anni dalla caduta del muro di Berlino, il candidato rifletta sul valore simbolico di quell’evento ed
esprima la propria opinione sul significato di “libertà” e di “democrazia
”.

A parte che mi sembra molto scontato un tema sulla caduta del Muro a vent’anni dall’evento, ma questo non è un problema, anzi, è una nota positiva e, chissà, forse ben accolta dagli studenti che magari se lo aspettavano.

La notizia invece mi fa sorgere alcune domande. Non conosco molto bene i programmi attuali di storia delle scuole superiori, ma tradizionalmente i docenti più bravi arrivano forse alla Seconda Guerra Mondiale. Quante sono allora le classi in Italia che hanno trattato la caduta del Muro di Berlino?

Sarei davvero curioso di leggere i temi dei ragazzi, perchè sapere cosa hanno scritto sarebbe molto interessante per capire che impatto ha quell’evento nelle coscienze dei giovani. Perchè, in fondo, anche per la mia generazione e forse ancora per qualcuno più giovane, si è trattato davvero di un fatto epocale, di una svolta storica che percepisci subito nel momento in cui la vivi. Per i più giovani invece, nati dopo il 1989, la percezione è naturalmente molto diversa, e, questa è una mia impressione personale, appare indebolita dai fatti successivi la reale portata di speranza per un mondo nuovo che ha accompagnato la caduta del Muro. Nelle nostre scuole si parla del valore e delle conseguenze di questo evento?

Per queste riflessioni, che sto quasi scrivendo ragionando a voce alta, mi vengono ancora più perplessità sull’intera traccia, quando si chiede agli studenti di discutere di “libertà” e “democrazia” a partire dal valore simbolico di quell’evento. Può una preparazione data dai programmi scolastici permettere di riflettere davvero su questi temi, che mi sembrano lontani anche dall’approfondimenti di molti corsi universitari?

Non è una critica fina a se stessa la mia, e queste perplessità rafforzano la mia curiosità di vedere questi temi, di poterli leggere, anche per capire meglio come noi adulti possiamo parlare alle nuove generazioni.

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tracce-di-muro-home-alpeadriacinemaInizia oggi a Trieste una rassegna cinematografica davvero particolare, che segnalo con piacere e interesse. Come numerose manifestazioni che un po’ in tutta Europa si stanno attivando, l’iniziativa “celebra” l’anniversario della caduta del Muro di Berlino del 1989 a vent’anni di distanza. La rassegna si intitola “TRACCE DI MURO – BERLINO 1961-1989”, ed è promossa dall’Associazione Alpe Adria Cinema e dal Goethe Institut di Trieste, che si pone, come dice il sito dell’Associazione, “a proseguimento della giornata già dedicata a questo anniversario durante l’ultima edizione di Trieste Film Festival”.

Una rassegna che vuole proporre spunti di riflessione sui significati di quell’evento storico. “Oggi, a venti anni dall’implosione del regime che l’aveva creata, è ancora difficile parlare di ciò che è stata la Germania Democratica. (…) Eppure quel paese che non esiste più, dissolto con le picconate al muro che avrebbe dovuto proteggerlo, seguita ancora a vivere nei recessi più profondi della mente di milioni di persone”.

Tutto il programma si può trovare sul sito di Alpe Adria Cinema, oggi si comincia alle ore 18.30 con DIE MAUER (Il Muro) di Jurgen Böttcher, Germania 1990, e a seguire alle ore 20.30 IL CIELO SOPRA BERLINO di Wim Wenders, Germania Ovest 1987.

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