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Archive for aprile 2009

Abbiamo parlato pochi giorni fa della lentezza come valore per la riappropriazione delle città e la riconquista di spazi fisici e sociali sostenibili, nel post sull’iniziativa Slow Down London. Oggi vi segnalo due interessanti spunti su questo tema, una notizia e un bellissimo testo.

photo-of-david-sleator-irishtimecomLa notizia arriva dall’Irlanda e riguarda la decisione del governo di promuovere e incentivare l’uso della bicicletta. Come riportato su un articolo di Internazionale, la crisi ha spinto l’Irlanda apuntare sul mezzo di trasporto più economico e più ecologico e “il 20 aprile il ministro dei trasporti di Dublino, Noel Dempsey, ha presentato un documento in 109 punti per moltiplicare il numero dei ciclisti entro il 2020“. L’uso della bicicletta in Irlanda è considerato di gran lunga al di sotto del potenziale utilizzo, ed è davvero interessante leggere che, con le decisioni prese,il traffico dovrà adattarsi alle esigenze dei ciclisti. Tra le misure principali, riportate dall’articolo dell’Irish Time (citato da Internazionale), troviamo:

– 160,000 people cycling to work each day by 2020 – up from 35,000 now;

– Safe cycling routes to all schools in the State;

– A speed limit of 30km/h near schools;

– New secure bike parks in bus and train stations and other public spaces;

– Adapting trains and buses to carry bicycles;

– Shared-bicycle schemes in all cities with populations over 100,000;

– Better training for cyclists and drivers in relation to cyclists;

– Traffic-calming in urban areas;

– Redesign of major road junctions to make them cycle-friendly;

– Retrofitting of roads, quality bus corridors and bus-lanes to accommodate proper cycling lanes;

– Two-way cycling lanes on streets that are one-way for traffic;

– A proposed scheme where workers who use bikes instead of cars will be entitled to receive travel/mileage expenses.


Sul tempo del viaggio in bicicletta, sul ritmo della bicicletta, e “sulle partenze e ritorni del viaggiatore leggero”, vi segnalo un bellissimo articolo di Paolo Rumiz sul quotidiano Il Piccolo di oggi , intitolato “La grammatica del viaggiatore alla larga dalla strade veloci” (vedi la prima pagina, purtroppo l’accesso al giornale è a pagamento). Spero che molti di voi riescano a leggerlo, qui due passi molto significativi:

La vita si consuma andando, partendo, telefonando, tornando. E se mio figlio avesse avuto ragione? E se il gerundio inverso avesse senso? Forse oggi quella capriola grammaticale può tornare utile per rivendicare una rinnovata nobiltà dell’andare e una nostra presenza meno effimera in questo mondo di mobilità forzate. Ma sì, vorrei che un giorno la gente dicesse persuasa: “Sì, noi andiamo stando”.

(…)

“Vorrei dirvi la meraviglia del viaggio leggero, cominciando dall’arte di tagliare i ponti o dalla scienza millenaria della “traccia”. Comunicarvi la tecnica di sognare sulle mappe e poi partire facendone a meno. Farvi capire la febbre da viaggio e il panico da ritorno; la voglia impossibile di fare un Camino de Santiago al contrario; l’enigma del taccuino che determina l’andatura o il teorema della lentezza che allunga il tempo e accorcia lo spazio. Per non parlare della formula – mai spiegata da alcun matematico – del peso che alleggerisce.”

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tracce-di-muro-home-alpeadriacinemaInizia oggi a Trieste una rassegna cinematografica davvero particolare, che segnalo con piacere e interesse. Come numerose manifestazioni che un po’ in tutta Europa si stanno attivando, l’iniziativa “celebra” l’anniversario della caduta del Muro di Berlino del 1989 a vent’anni di distanza. La rassegna si intitola “TRACCE DI MURO – BERLINO 1961-1989”, ed è promossa dall’Associazione Alpe Adria Cinema e dal Goethe Institut di Trieste, che si pone, come dice il sito dell’Associazione, “a proseguimento della giornata già dedicata a questo anniversario durante l’ultima edizione di Trieste Film Festival”.

Una rassegna che vuole proporre spunti di riflessione sui significati di quell’evento storico. “Oggi, a venti anni dall’implosione del regime che l’aveva creata, è ancora difficile parlare di ciò che è stata la Germania Democratica. (…) Eppure quel paese che non esiste più, dissolto con le picconate al muro che avrebbe dovuto proteggerlo, seguita ancora a vivere nei recessi più profondi della mente di milioni di persone”.

Tutto il programma si può trovare sul sito di Alpe Adria Cinema, oggi si comincia alle ore 18.30 con DIE MAUER (Il Muro) di Jurgen Böttcher, Germania 1990, e a seguire alle ore 20.30 IL CIELO SOPRA BERLINO di Wim Wenders, Germania Ovest 1987.

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Madre Teresa e il lustra scarpe, così titola un interessantissimo articolo pubblicato su Osservatorio Balcani e Caucaso (a firma di Risto Karajkov), richiamando alcune delle statue che l’amministrazione locale di Skopje, in Macedonia, ha installato nel centro della città in una grande opera di recupero e di rinnovamento.

madre-teresa-skopje-da-osservatoriobalcaniorgUn toro, un mendicante, una bella ragazza, un lustrascarpe, un tizio che cerca di attirare l’attenzione della bella ragazza dall’altra parte della strada.. (…)La bella ragazza, dall’altra parte della strada, è al centro dell’attenzione da oltre un mese ed è quasi diventata un simbolo della città. (…). Cinquanta metri più in là, verso la piazza centrale, c’è il vecchio monumento di Madre Teresa. La costruzione del suo mausoleo, proprio di fianco alla statua, è stata completata solo un paio di mesi fa. Fino a poco tempo fa, Madre Teresa era tutta sola sul corso principale. Ora, all’improvviso, si trova in fitta compagnia, ma tutti vogliono farsi fotografare con la sua giovane dirimpettaia”.

A Skopje è quindi in atto una trasformazione urbana notevole, un “rinascimento architettonico”, che non si ferma alle statue, ma riguarda anche i palazzi, edifici storici e anche diverse grandi infrastrutture. Il centro della città è però oggetto di un vero e proprio restyling culturale e iconografico, nel quale simboli urbani e identità giocano ancora una volta un ruolo fondamentale. Chi parla di una volontà di rivendicazione di tradizioni culturali nei confronti della Grecia (ci sarà a breve anche una statua di Alessandro Magno), chi di “de-slavizzazione” e quindi della volontà di rompere definitivamente il legame slavo, chi vede invece un disegno politico di affermazione di potere interno.

Forse sono tutte le cose messe insieme, che determinano una significativa appropriazione dello spazio urbano nel suo più pieno termine di spazio politico. La città che include ed esclude attraverso i suoi simboli, culturali, politici, religiosi.

church-crkva-skopjeTale iper-attività sta creando molti malumori, ma è proprio su un edificio religioso che la città si sta dividendo anche con manifestazioni a volte violente. Come ha riportato già il blog balKan_scapes, la decisione di edificare una nuova chiesa nella piazza centrale sta creando un vasto dissendo, e ci viene indicato un altro blog molto interessante skopje2803 nato proprio per raccontare questa divisione: le proteste, i dissensi, le manifestazioni di studenti, le posizioni di chi rivendica uno spazio urbano “laico”, le contromanifestazioni, le contrapposizioni, gli scontri.

Tali dinamiche di “rinnovamento” urbano e di radicalizzazione di simboli di appartenenza culturale e religiosa nello spazio urbano sono abbastanza simili in tutti i Balcani del post-conflitto. Una battaglia culturale neanche tanto sottile, tra memoria, identità, appartenenza, giocata anche e soprattuttot negli elementi architettonici e urbanistici delle città e delle capitali. In questo senso, sempre dal blog skopje2803, segnalo questo interessante workshop, molto pertinente rispetto a quanto sta succedendo, “Reading the City: Urban Space e Memory“, che si terrà a Skopje a metà maggio, organizzato dalla fondazione “Remembrance, responsibility and Future” (Geschichtswerkstatt Europa), il Goethe-Institut e la Technical University of Berlin.

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Ieri ho letto una bellissima intervista su Corriere.it nella sezione di Milano, che voglio riportare qui, e che potete trovare nell’articolo “Loi: non solo eventi. Piazze, scuole, ospedali: lì nasce la vera cultura” .

Il poeta Franco Loi afferma che la cultura delle città è dove ci sono le persone. «La cultura è muovere la co­scienza di chi ci ascolta. Non grandi mostre o grandi festival. È andare tra la gente e andarci di persona»

Esiste un grande dibattito sul contrasto che nasce nelle città quando viene promosso un processo di rinnovo urbano, di recupero, o quando vengono promossi mega-progetti urbanistici di sviluppo: da un lato chi vede come importante l’immagine che si dà all’esterno della città, come “cartolina” o “biglietto da visita” nella competitività del marketing urbano globale; dall’altro chi invece ritiene che sono i cambiamenti rivolti più alle ricadute interne, nella qualità della vita urbana quotidiana (fisico-ambientale, sociale, culturale), ad essere il vero tramite dello sviluppo e dell’attrattività di una città.

Probabilmente la risposta sta in una posizione intermedia, il problema è che spesso si trascura il secondo aspetto, considerandolo poco “visibile”. E il poeta Loi, nella sua intervista, infatti non nega l’importanza dei grandi progetti («Penso già a cosa sarà l’Expo: costruzioni, denaro, infrastrutture. Benissimo, ma non è sufficiente») ma punta decisamente ad una dimensione della cultura urbana più legata al carattere locale, più vicina ai cittadini, una cultura dal basso che non significa assolutamente una cultura bassa: «Dove ci sono le per­sone. Negli ospedali, nelle mense aziendali, nelle scuole.(…)Non bisogna identificare la cultura con le iniziative di rap­presentanza, le grandi mostre da centomila visitatori. Si va, si guarda, si dice ‘Ci sono stato’, poi si torna a casa e non è cam­biato niente»

La cultura delle città è quindi spesso una cultura informale, che sta nelle molte iniziative delle associazioni e dei cittadini che autopromuovono un’azione di comunità locale : «Sì, è quella delle mille asso­ciazioni d’arte, di musica, di vo­lontariato che lavorano senza ascoltare le direttive di nessuno, partito o autorità. Che, semplice­mente, fanno quello che c’è da fare negli ospedali, nel quartie­re». Comunità locali che fanno le città, nelle quali anche il dialetto, anche in grandi città come Milano, diventa nuovamente la lingua franca tra i cittadini di diversa provenienza «È come per il dialetto: pensa­vo che fosse scomparso, fino a quando in via Paolo Sarpi non ho sentito un cinese dire all’al­tro: ‘Alura, cume l’è andada?’. Gliel’ho detto, è strana questa città, quando tutto sembra fini­to, ricomincia in qualche altro modo».

gara-carrellini-via-sarpi-milano-da-repubblicaitE proprio ieri si è svolta a Milano, in Via Sarpi, la Chinatown della città oggetto di grandi “contrasti”, una originalissima gara, quella di carrellini. I famosi carrellini per trasportare le merci, tanto usati dai cinesi e divenuti ormai simbolo di quella parte di città, diventano anche strumento originale per proporre una riflessione. E, come riporta un articolo di Repubblica.it sempre nella sezione di Milano (con relativa galleria fotografica), l‘intento degli organizzatori è proprio quello di trovare percorsi di incontro tra le diverse diverse culture urbane: «L´iniziativa affronta in modo ironico quello che è diventato uno dei simboli del conflitto nel quartiere Sarpi, così da ritrovare un terreno comune di confronto e dialogo»

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slow_down-londonLa frenetica Londra, con i suoi impazienti automobilisti, con la sua Tube affollata, con lo stress della crisi finanziaria, ha l’occasione per una pausa di relax. Così un articolo del Times Online annuncia l’arrivo nella capitale inglese del movimento Go Slow, che organizza l’evento Slow Down London, un festival di dieci giorni dal 24 aprile al 4 maggio 2009.

Correre è una condizione distintiva dei nostri tempi, anche quando ciò non è proprio necessario. Abbiamo fretta sempre e viviamo in modo poco equilibrato il nostro ambiente circostante e i nostri spazi di vita sociale. Essere impegnati sempre ed essere sempre busy condiziona anche le nostre città, che attraverso questa concezione di tempi rapidi organizzano i propri spazi, le vie di traffico, i servizi.

Tessa Watt, organizzatrice dell’evento londinese dice al Times: “There’s a sense in a city like London that we do tend to run around like mad rabbits in a hutch. We get angry with someone ambling slowly on the pavement, and we want to throttle someone if they haven’t got their Oyster card out at the gate of the Tube. Things are a little bit out of hand.”

Recuperare una dimensione più umana del proprio vivere attraverso iniziative “sostenibili”, in particolare nelle città, da originale e a volte eccentrica proposta di pochi è divenatato in questo periodo un imperativo diffuso, anche grazie al contributo che alcune attività possono dare in tempi di crisi. L’articolo del Times richiama tutta l’esperienza di Slow Food e Slow City nata proprio in Italia, ma, come abbiamo inziato sottolineare anche su questo blog, c’è un movimento a livello globale di promozione di attività sostenibili che rimettono al centro il rispetto dell’ambiente, della salute e della dimensione umana delle nostre società.

A Londra i dieci giorni di “festival lento” prevedono molte attività, che si possono consultare sul sito dell’evento. L’obiettivo è quello di far capire che a volte bastano piccoli gesti per migliorare la qualità della vita. Infatti Ms Watt dice, sempre nell’articolo del Times: “We’re not saying that people should be going slowly all the time, but stress and speed are major issues for most people in big cities. This is an opportunity to highlight the issue and help people create a little bit of space in their lives. It can be as simple as taking a lunch break – al fresco, not al desko. Or leaving time between appointments so that you can walk a bit slower and enjoy the environment around you.”

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In questi giorni sto leggendo un libro che mi è stato regalato un po’ di tempo fa (la pila di libri in attesa è sempre alta..) e che mi conferma ancora una volta la capacità di Amartya Sen di essere allo stesso tempo profondo e facilmente comprensibile da tutti.

sen_democraziadeglialtri_cover_graIl libro è “La democrazia degli altri. Perchè la libertà non è un’invenzione dell’Occidente” (Bestsellers, Mondadori). La semplicità e la chiarezza con la quale Sen ci dice che non tutti i valori che “noi” crediamo di avere in esclusiva sono in realtà patrimonio storico solo del cosiddetto mondo occidentale, è quasi disarmante. Leggere il libro significa mettersi a ragionare su cosa è la democrazia e a rielaborare i concetti di democrazia che il mondo occidentale vuole esportare.

Trovo fondamentale la riflessione di Sen sul fatto che la vera essenza della democrazia è la “discussione pubblica”. Non lo è il diritto di voto, seppure, ovviamente, fondamentale, ma il diritto e la libertà di esprimere opinioni e proposte, di difenderle pubblicamente e di esprimere contrarietà e protesta. Senza queste libertà, pur in presenza di libere elezioni, si ha solo una democrazia formale. Come dice il libro di Sen, la democrazia così intesa non è affatto un’invenzione occidentale.

Questa la quarta di copertina:

Le inattese difficoltà militari e politiche incontrate dalla coalizione anglo-americana nel secondo dopoguerra iracheno hanno sollevato un’ondata di scetticismo sulla possibilità di introdurre nel paese, in tempi ragionevolmente brevi, un sistema di governo democratico. Eppure sarebbe un errore dichiarare che l’idea stessa di “esportare” la democrazia in nazioni che ne sono prive sia destinata al fallimento.
Nei due saggi raccolti Amartya Sen, premio Nobel per l’economia nel 1998, illustra con numerosi esempi l’esistenza di secolari tradizioni democratiche in paesi attualmente oppressi da regimi totalitari e invita a non commettere un ulteriore peccato di “imperialismo culturale”: l’appropriazione indebita dell’idea di democrazia. Della quale suggerisce invece di esplorare e sviluppare proprio gli aspetti che sono valori condivisi della storia di tutta l’umanità.

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Un città d’inferno, a dispetto del nome. Paraisópolis, a São Paulo, di città paradisiaca ha sempre avuto ben poco, essendo il luogo dove sorge una delle più grandi favelas della città e del Brasile intero (si parla di 100mila abitanti), ma da qualche settimana la favela è più “inferno” di prima, tanto da meritarsi questo titolo.

paraisopolis-da-peacereporternetLa favela è occupata dalla polizia, a seguito delle violenze e degli scontri successivi all’uccisione di un giovane da parte della polizia durante un inseguimento e un arresto circa un mese fa. Ho trovato questa notizia leggendo il sito della rivista Internazionale, nella sezione Cartoline, tra le notizie dei giornali del Brasile. PeaceReport dice che si tratta dell’operazione di polizia più imponente degli ultimi anni.

Voglio riportare proprio l’articolo citato da Internazionale, dalla rivista Caros Amigos, che dà il titolo al nostro post. (altro…)

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