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Posts Tagged ‘Stati Uniti’

Due giorni fa sono stati resi noti i risultati di una ricerca sul tempo speso nel traffico urbano. Dal rapporto presentato ieri alla conferenza “Kyoto for the cities” a Napoli  dalla società che ha curato lo studio, la Vision&Value, emerge una situazione allarmante: considerando solo le 10 città italiane più grandi con relativa provincia, il traffico ci ruba quasi un’ora al giorno a testa e ci costa in tutto 27 miliardi di euro l’ anno.

Roma si conferma la città più in coda, con 227 ore all’anno, nettamente la più trafficata, seguita a distanza da da Palermo con 139, da Napoli con 120 e Milano con quasi 100 ore. (altro…)

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Uno dei temi di maggiore interesse negli studi e nelle analisi urbane è il rapporto tra cittadino, spazio pubblico e spazio privato. Sempre più le città, così come si sono strutturate, rispondono ad esigenze nelle quali lo spazio pubblico non è più il luogo privilegiato della socialità. Sempre più sono gli spazi privati, spesso artificiali, a divenire luoghi caratteristici della vita urbana contempranea, tanto che, come già indicato in un post precedente, si parla di città dei superluoghi.

jan-jacobs-book-coverSfogliando i giornali in questi giorni ho trovato una chicca che volevo segnalarvi. Nella sezione libri dell’edizione dello scorso weekend del Financial Times (che “sfoglio” per carpire notizie sulla crisi) c’era la recensione della copertina di un libro che è una pietra miliare della letteratura urbana, “The Death and Life of Great American Cities” di Jane Jacobs. (altro…)

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Leggo oggi su Repubblica.it una notizia, riportata nella sezione TV, che desidero riportare subito, sia per l’attualità che il tema dell’immigrazione continua ad avere più come emergenza che come politiche di integrazione, sia perchè si inserisce secondo me in modo interessante sulla riflessione sugli impatti della crisi sulle nostre società.

usa-mexico-border-wallLa polizia di frontiera statunitense ha deciso di diffondere oltre il muro del confine con il Messico canzoni in lingua spagnola che descrivono la vita drammatica dei clandestini messicani negli Stati Uniti, in modo da dissuadere appunto i messicani e le altre persone dal tentare la fortuna oltre confine. Una sorta di pubblicità anti-immigrazione, un’azione persuasiva fatta con le stesse voci dei latinos, un tentativo quasi “occulto” di auto-convincimento che dovrebbe spingere le migliaia di clandestini a pensare che non conviene scappare dai loro paesi e rischiare.

Sul confine e sul muro Messico-Stati Uniti c’è online molto materiale e vi segnalo un bell’articolo su National Geographic con bellissima galleria fotografica da cui è tratta anche la foto qui su (di Cook and Jenshel). (altro…)

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Anche Las Vegas è in crisi.
Come molte città degli Stati Uniti, città simbolo e città marchio, anche la capitale del gioco d’azzardo è in crisi. Così dopo città come Detroit e Chicago, ora tocca anche a Las Vegas vedere indebolita la sua forza e la sua identità.

La recessione significa crisi di identità per Las Vegas, così titola un articolo di AP pubblicato pochi giorni fa sul sito di MSNBC (Slump means identity crisis for Las Vegas). Anche la Sin City del mondo ora è in un limbo: cantieri chiusi e grandi progetti fermi. E forse questo ha ancora maggiore forza evocativa della crisi rispetto alla situazione di altre città, perchè Las Vegas non è un posto come gli altri, non è una posto “normale”, ma è un’idea di città. L’articolo linkato qui sopra dice infatti che “This is not just a place people are born and live. Las Vegas is an enterprise“.

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Dello stesso tono un articolo uscito su Corriere.it, che titola “Las Vegas, il declino del sogno”, che sottolinea come la città occupa un posto unico nell’immaginario collettivo, e quindi “Più che una città, Las Vegas è da sempre uno state of mind“.

Appare sempre più evidente che lo sviluppo che pareva inarrestabile ormai deve essere ripensato. E ciò non vale solo per Las Vegas, o per altre città simbolo, ma per la società intera e per l’organizzazione che si è data fino ad ora. L’azzardo non erano solo i casinò e i matrimoni lampo di Las Vegas, ma un’intero modo di vedere lo sviluppo. Le città hanno sempre rappresentato il luogo del progresso e anche quello delle crisi e dalle città deve ripartire una idea nuova di futuro.

Il problema, secondo me, è capire quanto si sarà capaci di trovare scelte condivise, oppure quanto si opterà per il “si salvi chi può”, e allora ogni città lavorerà per se stessa. Chi sopravviverà avrà un futuro, gli altri indietro.

Dopo il ritorno dello Stato-nazione assisteremo al ritorno delle Città-Stato?

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Durante la campagna elettorale per l’elezione del neo-presidente degli Sati Uniti, molta incertezza era data, più che dai numeri dei sondaggi, dalla riflessione di quanto i dati che emergevano a favore di Obama Barack fossero davvero capaci di cogliere un sentimento latente degli americani di avversione alla possibilità di avere un presidente nero.

Al di là delle questioni politiche, e delle questioni tecniche relative ai sondaggi, interesse di questo blog è provare a leggere i fenomeni e gli avvenimenti attraverso le dinamiche sociali sul territorio e in particolare negli spazi urbani. Molto spesso le città, nella loro organizzazione fisica e relazionale, sono specchio della realtà sociale più generale e ci raccontano cosa c’è dietro ai fatti e ai numeri.

E quindi in questi giorni, come fanno tutti, anche qui vogliamo parlare della vittoria di Obama, ma da un angolatura relativa alle città, soprattutto alle città degli stati del sud, alle città dove la società americana è divisa nella quotidianità, negli spazi, nelle speranze.

A parte la questione dei ghetti urbani in cui l’appartenenza etnica è fattore determinante, come ad esempio a Los Angeles, caso simbolico dell’attualità della divisione e della violenza urbana, la questione della segregazione socio-spaziale delle città americane era emersa in maniera tragica con la devastazione di New Orleans dell’uragano Katrina del 2005. In quella occasione ho avuto come l’impressione che l’America scoprisse in quel momento i suoi poveri, come se fossero emersi dalle acque che avevano inondato la città. Ed era evidente, una volta passato l’uragano, che non era stata colpita tutta la città, ma i quartieri neri della parte bassa e povera, e non invece i quartieri bianchi e ricchi della parte alta. Come se Katrina avesse solcato quella linea di demarcazione socio-spaziale della città che caratterizza la realtà di New Orleans, ma anche di molte altre città. (altro…)

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