Quello che segue è un nuovo “intervento ospite“. Sono proprio felice oggi perchè ospito una persona che si è laureata con me. Ho avuto molti laureati con ottime ricerche ed è sempre stata una cosa da cui ho avuto soddisfazione.
Marilena Valeri, laureata recentemente, ha fatto una bellissima tesi sulle piazze e sugli spazi pubblici, comparando la trasformazione delle aree urbane di alcune città italiane. In particolare, partendo dalle esperienze di Roma e Torino, Marilena Valeri ha presentato il caso di Piazza Risorgimento a Pordenone. Ne è uscita un’ottima ricerca e quindi ho chiesto a Marilena di farne una estrema sintesi che potesse divenire un post, che, per brevità, non rispecchia la ricchezza della sua tesi ma che sono sicuro contribuisce ad approfondire in modo interessante i temi che Metapolis vuole portare avanti.
La Piazza tra centro e periferia.
di Marilena Valeri
Dentro la città, centrali o quasi prossimi al suo centro, eppure marginali rispetto a quest’ultimo e alle sue dinamiche, esistono aree e quartieri cosiddetti di periferia, in senso non solo geografico, ma anche sociale e umano. Sono luoghi fragili che divengono a loro volta centro per altre periferie. Vengono contrassegnati da molti vuoti, una sorta di “discarica” di individui, attraversati da flussi e contrassegnati da questioni che sono di natura globale e locale contemporaneamente.
Due quartieri, con due piazze famose a livello nazionale, sono Barriera di Milano a Torino, con Porta Palazzo, e l’Esquilino di Roma, con piazza Vittorio Emanuele, che, a prima vista, possono apparire aree omogenee. Nella realtà sono caratterizzate diversamente per storia, popolazioni, culture, condizioni di vita; sono zone in cui si concentrano e si intrecciano problemi sociali vecchi e nuovi. Tra periferie tradizionali e quartieri storici c’è una convergenza caratterizzata dall’eterogeneizzazione della popolazione e dall’illeggibilità del territorio. La caduta dei tradizionali fattori d’integrazione, l’innesto di nuovi elementi funzionali e l’ingresso degli stranieri, fanno esplodere l’eterogeneità. Ciò spinge tali aree verso spirali di degrado simili a quelle registrate un tempo nelle periferie. Nell’insieme, eterogeneizzazione e illeggibilità portano a una perdita di specificità e di memoria dei contesti locali e alla loro trasformazione in un luogo comune, un non-luogo, un’equivalenza indefinitamente moltiplicata delle direzioni e delle circolazioni. Molte aree sembrano ridotte a mero effetto di aggregazione, come gli spazi pubblici.
Ma chi sono oggi gli abitanti delle nostre realtà urbane, e nello specifico dei loro spazi pubblici? Si è sviluppata una città della dell’esclusione negli stessi luoghi che tradizionalmente dovrebbero essere gli spazi dell’incontro e della pluralità. Un tempo i nemici erano coloro che stavano al di là della linea di demarcazione. Oggi il legame tra civiltà e barbarie si è invertito, come affermano sia B. Diken che C. Laustsen: la vita di città è accompagnata da una paura onnipresente.
In questa nuova forma degli spazi urbani di esclusione, la questione degli immigrati presenta degli aspetti che legano atteggiamenti culturali e dinamiche spaziali. Lo spazio destinato allo straniero viene usato, ma non realmente vissuto. Gli immigrati vivono con poca aderenza il territorio, occupando aree economicamente fuori mercato o gratuite (come le zone pubbliche), con scarso potere contrattuale e d’interlocuzione nei confronti delle Amministrazioni locali. Ci sono un ghetto volontario e un altro involontario. Manuel Castells definisce questi due mondi la “platea” e la “galleria”.
Ci sono allora due modi di vita, segregati e reciprocamente separati. Per Z. Bauman quelli che vivono nel primo sono <nel luogo>, ma non <di quel luogo>. Gli altri, quelli “della galleria”, non appartengono al comune di residenza. Lo spazio pubblico è così diventato la prima vittima collaterale di una città che sta perdendo la lotta affrontata per resistere all’avanzata della globalizzazione, o almeno per rallentarla. La stessa piazza urbana può essere la sede del mercato al mattino e un puro nodo di traffico nel pomeriggio. La mia ricerca, sfociata in una tesi, si occupa di piazza Vittorio a Roma, Porta Palazzo a Torino e piazza Risorgimento a Pordenone, tre aree che stanno evolvendo. La piazza, però ha molte facce. Come si è verificato a Pordenone, può diventare sia un nodo d’incontro per gruppi di stranieri, che una copertura per attività illecite. A Pordenone, come a Roma e Torino, realtà profondamente diverse tra loro non soltanto per dimensione, tutti sono d’accordo nel guardare allo spazio pubblico come a un contesto ricco di notevoli opportunità. Le narrazioni chiedono la presenza d’intermediari (per esempio le forze dell’ordine, ma anche figure diverse, di supporto culturale,) affinché intervengano per perseguire obiettivi come il ripristino di una situazione che ha perso ordine e stabilità, la traduzione di regole generali per suggerire comportamenti omogenei, il ricreare nuove possibilità relazionali nel faccia a faccia e nelle circostanze di anonimato, piuttosto diffuse negli spazi pubblici. Si ristabilirebbe in questo modo un contatto sociale pensato alla luce del civismo e dell’urbanità.
Le piazze restano in assoluto i luoghi più esposti alle presenze globali e all’intervento massmediatico, ma non sono valutate alla luce di criteri oggettivi. Al contrario, dal mio lavoro appaiono evidenti e pesanti le rielaborazioni soggettive. La gente spiega che non va in piazza (o nel parco pubblico) perché non possiede più una buona conoscenza del territorio, che continua a essere modificato e trasformato (vedi Roma e Torino). Inoltre non c’è più un’effettiva relazione tra i soggetti: mancando semplici e reali elementi di conoscenza, si guarda all’altro individuo valutando fattori esclusivamente esteriori, come il modo di vestire, il colore della pelle, gli atteggiamenti temuti. I continui arrivi e inserimenti di stranieri, dettati dai flussi migratori, “obbligano” le popolazioni autoctone a confrontarsi con grandi diversità (lingua, religione, razza, abitudini sociali). Ciò alimenta la formazione di pregiudizi. Non sono solo gli immigrati a essere percepiti come figure minacciose. La stessa sorte tocca ai nuovi poveri, un fenomeno in crescita per la perdita del posto di lavoro o del sostegno familiare; ai tossicodipendenti; ai portatori di disagio psichico e culturale. Non basta un’etichetta per rendere pubblico e condiviso uno spazio anziché un altro: sono i processi sociali che si realizzano all’interno di questa cornice a decretarne la bontà. Un’area pubblica non corrisponde mai totalmente al progetto di chi l’ha creata; rappresenta, di fatto, il risultato delle mutevoli relazioni vissute da chi la pratica e la gestisce. Il successo finale di un oggetto culturale, secondo la sintesi di Wendy Griswold, dipende dai suoi spettatori, dai suoi uditori, dal suo pubblico e dai suoi consumatori.
grazie marilena..
ho letto di corsa il tuo post e mi riprometto di rileggerlo con calma
io abito in barriera di milano a torino
stavo giusto uscendo per andare a lezione di serbocroato e atraversare la città a piedi per andare all’università quando nella home di facebook leggo il post di matteo del quale sono perdutamente innamorata da ancora prima che nascesse (e chi non lo sarebbe !!)
quando arrivo qui, su metapolis, leggo le prime righe :
ospito un’amica, è già mi scoraggio pensando ad una lagna, ma poi leggo torino e mi illumino di immenso !
tu non sai marilena quanto vorrei fare mio questo articolo..
da dove abito io, piu’ o meno in corso novara, all’università ci sono almeno 4 km.
qunado è bello vado a piedi ed ho occasione di vedere le molte facce della mia città
ogni quartiere mi parla
a porta palazzo sento tante lingue, dal cinese al rumeno e mi ricordo di quando ero piccola e mia madre mi portava li dicendomi di avere paura dei terroni, che mi volevano rubare
poco dopo la torino snob che mi chiede 1 euro e 30 cent per un cappuccio e si schifano pure di come sono vestita..
ma poi arrivo all’università e vedo gli amici balkanici e mi risollevo il morale..
non so se hai presente cio’ che succede a porta palazzo, ovvero che al sabato sera le ronde fatte da italiani vanno a cercare i piu’ deboli e non trovando spazio tra gli stranieri organizzati se la prendono coi barboni…
.. arriverà la seconda parte….
bè.. io ho più paura delle ronde che degli stranieri..
vedo tanta voglia di fare in questi stranieri, mentre vedo solo cattiveria nelle ronde ed io ho un mio ex amico che adesso è diventato un pichiatore.. che pena !!
allora marilena.. quando torni a torino che ci prendiamo un cappuccio nella zona non snob ???
lina
scusate se rompo ulteriormente..
sono tornata or ora dal centro
l’ho fatta a piedi sia all’andata che al ritorno..
marilena.. dopo le tue parole porta palazzo ha assunto tutta una forma particolare
ho anche notato delle cose che non avevo notato prima
ho preso il cappuccio a porta palazzo (1,15 e.) e ho parlato con un ragazzo del marocco nel bar..
mitico !
c’è un abisso tra le culture, ma c’è anche una voglia comune di fare, di integrarsi e alla fine scopriamo che non siamo poi cosi’ diversi
ho anche imparato a dire : Dio è grande..
ma non saprei scriverlo !!!!!!!!!!!