Nella giornata dei grandi festeggiammenti per la ricorrenza dei vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino, riporto un mio articolo uscito venerdì scorso sul settimanale Vita Nuova di Trieste . Il titolo apparso sul giornale era “Quando i ponti diventano muri”, articolo centrale di un dossier sui Muri.
(la foto è presa dalla copertina del settimanale del 6.11.09 che contiene il dossier sui Muri, ed era accompagnata dalla scritta “Oltre ogni muro”)
Vecchi e nuovi muri
Scritto da Gian Matteo Apuzzo*
giovedì 05 novembre 2009
Circa un anno fa, Barack Obama, ancora da candidato alla Casa Bianca, aveva scelto Berlino per tenere il discorso principale durante il suo viaggio in Europa, e aveva usato uno slogan forte ed evocativo, “Mai più muri!”, attraverso il quale, toccando la memoria e il cuore dei berlinesi, davanti a migliaia di persone, aveva lanciato un accorato e convinto appello affinché si abbattessero i muri che dividono i popoli, «quelli fra Paesi ricchi e poveri, fra razze e tribù, fra cristiani, ebrei e musulmani». Eppure, nella stessa Europa dai confini mobili non tutti i confini cadono: alcuni si spostano, altri mutano, altri si trasformano, altri addirittura nascono. Non è fatta solo da success stories l’epoca dei muri che cadono, ma molti territori, interni all’Europa o a noi vicini, ci raccontano storie di nuovi confini, a volte materiali e rigidi, a volte immateriali ma forse ancora più difficili da superare.
Nei racconti, nelle narrazioni delle storie personali, a volte piccole, intime e familiari, emergono le contraddizioni della storia, i paradossi della nostra epoca. Fuori e dentro ai confini, cittadini o stranieri, inclusi o esclusi, a seconda del momento o del posto.
Il paradosso principale di questi venti anni è che i confini invece di diminuire sono aumentati e, come sottolineato anche dal grande sociologo americano Peter Marcuse, i conflitti più incandescenti riguardano proprio lo spazio, il suo utilizzo e la sua delimitazione. E proprio le città, alcune città in particolare, stanno diventando i campi di battaglia, anche simbolica, delle nuove divisioni e delle nuove appartenenze contrapposte.
L’elemento etnico ha assunto una funzione determinante nei conflitti e nelle lotte per lo spazio fisico, per l’appartenenza ad una città o ad un territorio, come ad esempio è avvenuto e sta avvenendo in zone di crisi anche vicine a noi, a partire dall’area balcanica. Se lo sguardo all’Europa parte dai Balcani, allora queste storie diventano numerose e significative, utili sia per capire la direzione verso la quale stiamo andando sia per valutare se davvero ancora resiste il mito dell’Europa “unita e senza confini”.
La frammentazione nazionale, la politica delle piccola patrie, la nazione etnicamente omogenea, stanno spingendo parti dell’Europa, occidentale e orientale, a deviare da un percorso che la caratterizzava. Guardando vicino a noi, la questione balcanica è divenuta simbolo di una società contemporanea che fa fatica a trovare soluzioni nella gestione della complessità, specchio del sogno a volte tradito del superamento del mondo dei blocchi della guerra fredda. In questo senso possiamo, senza correre il rischio di esagerare, parlare di una nuova epoca di muri.
Così, in Europa, può capitare che da cittadini si passa ad essere “cancellati”, come un gruppo numeroso di “jugoslavi” in Slovenia, o “alieni”, come molti russi nelle repubbliche baltiche. O assistiamo ad una grande crisi politico-istituzionale proprio intorno alla capitale d’Europa, Bruxelles, per i contrasti tra Valloni e Fiamminghi. O accettiamo che nell’Europa unita esista una città divisa come Nicosia, con il muro che divide la parte turca da quella greca sull’isola di Cipro.
La credenza in un’origine comune diventa perciò un rifugio, una sicurezza illusoria. In questo modo non esistono più gli “abitanti”, i “cittadini” di una regione particolare, ma esistono, da sempre e una volta per tutte i Serbi, i Bosniaci, i Croati, i Kosovari; come anche i Curdi, o i Palestinesi. Quello che conta è il sangue, l’origine comune.
E se lo sguardo passa ancora dai Balcani e va alla realtà attuale della Bosnia Erzegovina ci accorgiamo quanto tutto può essere confine, le chiese e i luoghi di culto, le bandiere, le memorie, i monumenti, i cartelli stradali, i percorsi degli autobus.
Anche i ponti possono dividere, ribaltando lo stesso significato simbolico tra ponti e muri, come avviene ad esempio a Mostar, ma anche a Mitrovica in Kosovo. I confini sono le scuole, divise fisicamente, per cui è divenuta diffusa la definizione di due scuole sotto lo stesso tetto (two schools under one roof), ma divise anche nei contenuti, dove la narrazione della storia prende forma diversa a seconda dell’appartenenza, che determina vincitori e vinti, vittime e carnefici.
I nuovi muri però non sono una prerogativa balcanica, ma fanno parte della società e del presente del mondo cosiddetto democratico e dell’Europa stessa. Il muro è tornato drammaticamente di moda come figura simbolica perché il concetto in sé indica separazione che equivale a sicurezza. Passato alla storia quello di Berlino, ad esempio Belfast è ancora tagliata da una ventina di cosiddette “Peace Line”, volute dagli stessi abitanti che così si sentono sicuri, dove però non mancano tensioni e atti violenti e dove è ancora difficile individuare percorsi condivisi di costruzione del dialogo.
Non dobbiamo però pensare che sia solo il tema dell’impatto delle migrazioni sulle nostre città che deve essere trattato, ma sono tutte le relazioni sociali ad essere in crisi, dove i conflitti sociali e relazionali si vivono fin dentro ai nostri condomini. Individualizzazione, paura e insicurezza fanno parte di uno stato di malessere del nostro modello di vita, che però trova nello straniero un generale capro espiatorio.
A questo proposito, qualche anno fa Zygmunt Bauman, citato quasi esclusivamente per le sue riflessioni sulla «società liquida», ha scritto un interessantissimo contributo sulla «fiducia e la paura nella città», soffermandosi sulle difficoltà del vivere quotidianamente con gli stranieri. Città intese come luoghi della paura, quindi. Città diventate una sorta di «discarica» dei problemi causati dalla globalizzazione, che costringono chi riveste responsabilità politiche e amministrative a individuare risposte sempre più locali in un mondo strutturato da processi sempre più globali. In definitiva, secondo Bauman, città come campi di battaglia e al contempo laboratori.
In questo quadro la reazione tipica appare quella della chiusura. Il sociologo spagnolo Manuel Castells sostiene che nelle città globali esiste in effetti una produzione di senso e di identità, ma che spesso questa significa chiusura. In una simile prospettiva possiamo allora concludere che davvero le città sono diventate dei laboratori, perché nella quotidianità lo scontro di civiltà teorizzato da Samuel Huntington si trasforma in un incontro tra vicini: gente reale, uomini e donne con le quali abbiamo a che fare involontariamente e che prima o poi incontriamo. Lo spirito delle città è alimentato da minuscole interazioni quotidiane ed è nei luoghi che l’esperienza umana si forma, si accumula e viene condivisa e il suo senso viene assimilato, elaborato e negoziato.
Ancora Bauman sostiene che la città induce contemporaneamente alla mixofilia e alla mixofobia. In questo senso gli stessi aspetti della vita urbana possono attrarre persone e respingerne altre, in un inarrestabile processo ambivalente. Dentro e fuori i confini. La varietà promette molte e differenti opportunità. Solo attraverso una “fusione di orizzonti”, secondo la locuzione usata da Hans Gadamer, si può ottenere la comprensione reciproca: orizzonti cognitivi, che vengono tracciati e allargati accumulando esperienze di vita.
È opportuno quindi riflettere su come non rendere gli spazi urbani una sorta di baluardo, di barriera difensiva. Non bisogna abbandonare lo sforzo di riflettere su come costruire una convivenza e una nuova fiducia civica, senza negare il conflitto esistente ma nel tentativo esplicito di abbattere i muri, fisici e immateriali, costruiti secondo una logica fondata sulla vigilanza e sulla distanza. Costruire una cittadinanza oltre i nuovi muri è la grande sfida contemporanea negli spazi della pluralità.
*studioso di città divise
[…] Tags: Berlin Wall, DividedCity, liquid society, SenseOfPlace, urbicide Gian Matteo posted a deep analysis on the meaning of divided cities today…Old walls have been replaced by new ones. Visit […]
malheureusement tu as raison!
😦
Striped